L’uso assai antico di produrre neve ghiacciata da utilizzare in paese nei mesi estivi è documentato in Sicilia fin dall’XI secolo. Esso consisteva nel conservare dentro idonee cavità la neve caduta in inverno, compattarla e solidificarla attraverso opportuni accorgimenti, trasportarla e venderla per necessità di refrigerazione e preparazione di granite o gelati. Le neviere erano fosse naturali o create dall’uomo (‘ntacchi) di profondità tale (2-3 metri) che potessero riempirsi anche in caso di scarse nevicate. A tale riguardo esse venivano realizzate in luoghi dove la neve spinta dal vento verso un piccolo ridosso si potesse accumulare (cugneri).

Il lavoro dei nivaroli: In autunno si ripulivano le fosse da terra e pietre, rivestendo il fondo di fieno, foglie e felci; a febbraio, si provvedeva invece a rendere compatta la riserva di neve ripestandola e battendola con pale, per permettere la fuoriuscita dell’acqua e dell’aria e alla neve di diventare ghiaccio. La solidificazione era favorita dal fatto che in superficie la ripetuta percussione permetteva lo scioglimento di un piccolo strato e all’acqua di percolare e gelare negli eventuali vuoti sottostanti. Per colmare i ‘ntacchi si spingeva la neve raccolta nelle vicinanze e si ripeteva l’operazione, ricoprendola infine con foglie e con uno strato di terra che assicurava l’isolamento termico. Nei mesi estivi si tornava con una piccola squadra di operai per il prelievo del ghiaccio. Veniva scoperta la parte necessaria all’estrazione della quantità desiderata e si tagliava la massa gelata per mezzo di picconi, pale e cunei, ottenendo dei blocchi regolari del peso di circa 120-150 Kg. Avvolti dentro foglie di felci o castagno e tela di sacco, venivano collocati sul dorso dei muli (2 per carico) e condotti in paese, la mattina presto, per essere venduti.